Ammissione Medicina: dalla selezione alla laurea. Scopri la testimonianza di Martina, ex allieva Cordua, laureata con il massimo dei voti all’Università “La Sapienza” di Roma.
La sua esperienza è una guida preziosa per chi sogna un futuro in Medicina: Martina racconta com’è realmente la vita universitaria in uno dei più grandi atenei italiani, come funzionano i tirocini e quali competenze si acquisiscono sul campo. Condivide il momento in cui ha preso consapevolezza della professione medica, offre spunti profondi su come costruire un rapporto autentico con i pazienti e spiega anche quali tecniche Cordua l’hanno aiutata a superare i momenti più difficili del percorso universitario.
Indice
- Come ci si sente ad essere finalmente dottoressa?
- Come si coltiva il senso di responsabilità, tipico dei medici, durante gli anni universitari?
- Quali sono le tappe fondamentali dei tirocini universitari in Medicina?
- Qual è il ruolo del docente nell’acquisizione della consapevolezza professionale?
- Come si costruisce un rapporto autentico e umano con i pazienti?
- Quali sono stati i momenti più significativi (belli o difficili) di questo percorso?
- Come si superano i momenti di sconforto durante un percorso così lungo?
- Quali consigli daresti ai ragazzi che sognano di intraprendere il percorso di Medicina?
- Ammissione in Medicina: perché partecipare a un Open Day Cordua
Come ci si sente ad essere finalmente dottoressa?
È una sensazione strana e meravigliosa allo stesso tempo. Si prova un grande orgoglio, una forte soddisfazione, ma anche un profondo senso di responsabilità. Durante gli anni universitari si immagina spesso questo momento, ma quando arriva davvero ci si rende conto che le persone inizieranno ad affidarsi alla tua competenza e al tuo giudizio. È la chiusura di un capitolo enorme della vita e, allo stesso tempo, l’inizio di uno ancora più grande.
Come si coltiva il senso di responsabilità, tipico dei medici, durante gli anni universitari?
I primi anni possono intimidire, perché il metodo universitario è molto diverso rispetto alle scuole superiori. Il percorso è lungo e richiede di adattarsi a un nuovo stile di vita. Con il tempo, però, si diventa più pratici e si impara a gestire sia lo studio sia la quotidianità.
Il corso di Medicina dura sei anni: i primi sono più teorici, mentre con il passare del tempo ci si addentra nelle materie cliniche. Questo significa iniziare a frequentare l’ospedale, svolgere i tirocini e acquisire sempre più pratica. In reparto, accanto a tutor e pazienti, si sviluppa progressivamente un approccio clinico e ci si sente parte del team ospedaliero.
Quali sono le tappe fondamentali dei tirocini universitari in Medicina?
Il tirocinio dovrebbe cominciare già dal terzo anno, ma si entra davvero nel vivo tra il quarto e il quinto. È in questo periodo che iniziano materie come Medicina d’urgenza e Primo soccorso.
Alla Sapienza, ho svolto un tirocinio abilitante proprio al Pronto Soccorso durante il quarto anno. È un’esperienza estremamente formativa: ci si trova davanti a pazienti in emergenza e si deve agire rapidamente, saltando gran parte della routine dell’anamnesi. Questo mette alla prova lo studente, che deve capire quale diagnosi formulare e come intervenire.
Tra i TPV (Tirocinio-Pratico-Valutativo) rientra anche una Chirurgia: io avevo scelto la Breast Unit (chirurgia della mammella). Inoltre, ho svolto un mese di tirocinio presso un medico di base, dove si entra nella quotidianità dei pazienti, costruendo un rapporto più intimo e diretto.
Tutti e tre i tirocini per me sono stati particolarmente importanti.
Qual è il ruolo del docente nell’acquisizione della consapevolezza professionale?
Agire con lucidità mentre si sta ancora studiando è difficile.
Il docente è disponibile ad aiutare, ma è essenziale che sia lo studente a cercare attivamente la guida di cui ha bisogno. Il docente è come un libro che va “aperto”: bisogna capire cosa chiedere e cosa voler apprendere. L’apprendimento sul campo funziona proprio così.
Come si costruisce un rapporto autentico e umano con i pazienti?
I pazienti percepiscono immediatamente il modo in cui ci si rivolge a loro. L’aspetto psicologico è fondamentale. Anche un semplice “come stai?” o un sorriso possono fare la differenza.
Ho notato che spesso i pazienti cercano compagnia o ascolto, non solo cure fisiche. Il medico osserva tutto: lo sguardo, la pelle, le mani. Da questi dettagli capisce aspetti che il paziente non esprime a parole. Questo tipo di attenzione è molto apprezzato, soprattutto dagli anziani, che si sentono finalmente al centro dell’attenzione. Il medico non deve essere una figura distaccata, ma qualcuno che accompagna il paziente nel percorso di cura.
Quali sono stati i momenti più significativi (belli o difficili) di questo percorso?
Un momento particolarmente toccante è avvenuto durante un tirocinio di Medicina Interna, dove emerge con forza la fragilità umana. Ricordo diversi pazienti anziani in condizioni di grande debolezza e, in particolare, una donna di circa 80 anni che, in un momento di sconforto, chiamava la madre. È stata una scena che mi ha insegnato quanto l’essere umano abbia sempre bisogno di affetto e non smetta mai davvero di cercare conforto.
Mentre il momento più bello non è stata la proclamazione, ma l’ultimo giorno di università, subito dopo l’esame finale. È lì che realizzi di aver concluso una lunga “gara” e ti rendi conto del percorso che hai affrontato.
Come si superano i momenti di sconforto in un percorso così lungo?
L’entusiasmo iniziale non rimane costante: il percorso è duro e si attraversano fasi di “innamoramento e disinnamoramento”. È fondamentale ricordarsi continuamente perché si è iniziato.
Io ho vissuto molti momenti difficili, soprattutto nell’ultimo anno, ma li ho superati grazie alla consapevolezza di essere privilegiata nel poter seguire questo percorso. Mi sono state utili anche le tecniche apprese in Cordua, come gli esercizi di respirazione e l’immaginazione del traguardo già raggiunto.
I pensieri creano la realtà: nei momenti bui visualizzava l’obiettivo compiuto e la felicità che avrebbe provato. Il segreto è concentrarsi sul passo successivo, non sull’intera “montagna”.
Quali consigli daresti ai ragazzi che sognano di intraprendere il percorso di Medicina?
In primo luogo, non farsi spaventare dalla mole di studio, poiché si affronta il percorso passo dopo passo.
In secondo luogo, essere curiosi: fare domande in reparto, osservare e capire in profondità ciò che si vede e studia.
Infine, ricordare l’umanità del paziente, che non è solo una cartella clinica. È fondamentale ascoltare, osservare e comprendere ciò che vuole dire, anche senza che pronunci parola.
Soprattutto, si deve scegliere questo percorso per amore della professione e non solo per il titolo. La carriera è lunga e complessa, per questo motivo si deve credere profondamente in ciò che si vuole ottenere. Ricordate che salvate e cambiate la vita delle persone, non esiste niente di più nobile e importante.
Ammissione in Medicina: perché partecipare a un Open Day Cordua
Per chi sogna di diventare medico, capire come funziona davvero il percorso di selezione nelle università statali o private è fondamentale.
Gli Open Day Cordua sono l’occasione ideale per orientarsi, chiarire i dubbi e scoprire quali competenze servono per affrontare l’ammissione medico-sanitaria.
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