La facoltà di Infermieristica è tra le più interessanti a livello nazionale.
Nella giornata mondiale che celebra la professione abbiamo voluto approfondire il senso e gli stimoli che spingono le nuove generazioni ad iniziare una carriera accademica nelle scienze infermieristiche.
Lo slogan del 2024, “Nutriamo la salute”, richiama la radice più arcaica della parola “infermiere”, che sottolinea la sua natura a “nutrire” o “prendersi cura di…” ed evidenzia la centralità che questa figura ha avuto in tutte le epoche e in tutti i contesti.
Di seguito troverai la nostra intervista a Alessandra Guidobono Cavalchini, neo matricola alla facoltà di Infermieristica pediatrica della Statale di Milano.
Intervista ad una matricola di Infermieristica
La scuola Cordua si impegna da anni nella formazione dei suoi allievi ali test d’ammissione delle facoltà medico-sanitari. Nel corso degli anni sono stati moltissimi gli studenti e le studentesse che si sono rivolti a noi nella preparazione per il test di infermieristica, sognando di intraprendere questa stimolante carriera.
Tra i ragazzi che abbiamo avuto la fortuna di seguire, riportiamo di seguito la nostra intervista ad Alessandra Guidobono Cavalchini, ex studentessa Cordua al 1° anno di Infermieristica pediatrica presso la Statale di Milano.
Ciao Alessandra, in quali atenei sei riuscita ad entrare grazie all’esperienza con Cordua?
Durante i mesi trascorsi a Genova presso la sede Cordua sono riuscita ad entrare all’Humanitas University di Milano, al Campus Bio-Medico e al San Raffaele. Sono riuscita a classificarmi al 3° posto alla facoltà di Infermieristica pediatrica della Statale di Milano e, dato che il mio obiettivo era entrare alla Statale, ho infine optato per questa università.
Cosa ti ha portato a scegliere Infermieristica?
La spinta a scegliere questo percorso accademico è arrivata soprattutto dall’ambiente familiare. Essendo in molti momenti della mia vita circondata da bambini, la possibilità di contribuire al loro accudimento, lavorando con loro e per loro, è stata per me la cosa più naturale.
Qual è l’aspetto più gratificante della tua interazione con i bambini durante il tuo lavoro?
Relazionarmi con loro è bellissimo, perché nutrono una fiducia incondizionata in chi li accudisce che ti spinge a fare del tuo meglio per farli stare bene e farli sentire al sicuro.
Raccontaci il tuo percorso in università. Com’è strutturato il piano di studi a Infermieristica e quali sono le discipline più interessanti?
Ho iniziato il mio percorso in una classe di piccole dimensioni, appena 24 ragazzi, perciò il rapporto con i professori è ottimo.
Nel primo semestre ci siamo concentrati sulle materie di base della facoltà – Biologia, Chimica, Matematica e Fisica – oltre a Medicina del lavoro. Nel secondo semestre invece il focus si è spostato su “Fondamenti”, una disciplina che al suo interno racchiude tanti altri insegnamenti, come Ginecologia ostetrica, Dietetica e Pediatria.
La cosa che più mi piace è la possibilità di fare pratica, grazie soprattutto alle lezioni di laboratorio. I docenti-tutor in quel contesto rappresentano delle vere e proprie guide, portandoti a fare esercizi e ad allenarti su case study reali.
Qual è stata l’esperienza che ti ha colpito di più?
Mi ha particolarmente affascinato il corso sulla pratica dell’allattamento che sto frequentando. Di questo tema si parla ancora poco, perché spesso associato principalmente alla figura materna, ma anche il papà gioca un ruolo fondamentale. Infatti, eventuali difficoltà con le poppate colpiscono l’intero nucleo familiare e il papà deve essere in grado di supportare la mamma per garantire al figlio il miglior nutrimento possibile.
La giornata mondiale dell’infermiere nasce per sensibilizzare le persone su questa professione. Gran parte del lavoro quotidiano in ospedale, la pratica di accudimento e la sua costanza nel tempo è infatti una vostra prerogativa.
Secondo te, che qualità dovrebbe avere l’infermiere ideale?
Secondo me l’infermiere ideale dovrebbe maturare: empatia, gentilezza, accortezza e carattere. In particolare, il carattere è una qualità necessaria per far sentire la propria voce anche nel contesto ospedaliero, in cui le nostre competenze possono offrire un contributo tangibile in fase di ricerca e terapia, arricchendo il quadro clinico del paziente.