La medicina mesopotamica è forse la più antica di cui abbiamo testimonianze tangibili.
Le pratiche inerenti alla medicina mesopotamica sono arrivate fino ai giorni nostri grazie a tavolette cuneiformi provenienti da svariate testimonianze scritte.
All’intero di questi documenti, la malattia viene sempre intesa come causata da una divinità, una conseguenza di colpe commesse dal paziente, di sortilegi o della semplice volontà di uno spirito negativo.
Continua a leggere per approfondire il quadro storico e le caratteristiche della medicina mesopotamica.
Le fonti della Medicina Mesopotamica
I primi testi medici mesopotamici si fanno di norma risalire alle prime dinastie sumere di Ur e di Lagash. Al loro interno erano comprese informazioni relative a preparati di origine vegetale, e non è presenta alcuna rappresentazione figurativa o studio su materiale scheletrico.
La maggior parte delle tavolette a noi pervenute riporta per lo più prescrizioni, mentre ne esistono altre contenenti anche riferimenti organizzati in veri e propri “trattati”. Tra questi, il più esteso è il cosiddetto Trattato accadico di prognosi e diagnosi mediche (risalente all’incirca al XVII secolo a.C. ma circolato a lungo per tutto il territorio mesopotamico), composto di 40 tavolette studiate, tradotte e pubblicate nel 1951 da René Labat.
Il trattato è organizzato secondo un ordine che va dalla testa ai piedi, con alcune sezioni dedicate ai disturbi convulsivi, alla ginecologia e alla pediatria.
La Medicina mesopotamica – Due sistemi di pensiero
I medici della “Terra tra i due Fiumi” possono essere definiti secondo un sistema esperienzale e culturale bipartito. Da un lato tenevano in conto un sistema nosologico di base, grazie al quale riuscivano ad associare i sintomi alle divinità in grado di provocarli. Dall’altro dovevano necessariamente fare i conti con un sistema prognostico, improntato su un tipo di pratica empirica fortemente legata a terapie magiche, che molto spesso erano associate anche all’uso di differenti erbe considerate medicinali.
La figura del medico e il concetto di malattia
La figura del medico in Mesopotamia iniziò a delinearsi già nel periodo delle prime dinastie sumere, durante il quale nacque la corporazione degli asû. Questi attori iniziarono a specializzarsi in terapie positive e furono fin da subito identificati sia come guaritori che come veggenti.
Inizialmente poco numerosi e concentrati per lo più nelle capitali, questi medici venivano considerati come i depositari del sapere empirico riguardo i trattamenti. Basando le proprie preparazioni mediche su conoscenze tramandate dalla tradizione e sull’esperienza diretta, si stimava avessero quella che oggi potremmo chiamare una “preparazione a 360°”.
Ben presto alla figura dell’asû finì per affiancarsi anche quella dell’âshipu, che aveva il compito di “diagnosticare” la natura del disturbo attraverso l’uso di pratiche magiche o addirittura esorcistiche. Spettava a lui, insomma, capire se l’origine della malattia fosse dovuta a un peccato commesso dal paziente o, piuttosto, all’accanimento da parte di qualche “spirito”.
La scuola medica mesopotamica
Durante il secolo di Hammurabi (XVIII secolo a.C.) nacque a Nippur un’importante scuola medica dedicata a Gula, dea della Salute.
La medicina mesopotamica a quel punto aveva compiuto passi da gigante per l’epoca, tanto che si scelse di conservare l’antico sapere medico con la trascrizione di teorie e pratiche su tavolette di argilla. Esse venivano scritte in caratteri cuneiformi e custodite, per l’appunto, nelle biblioteche.
In un contesto come quello appena descritto, la funzione principale del medico era dunque quella di stabilire l’origo del malessere, analizzando la storia del paziente come quella della sua famiglia . Questa si delineava come una sorta di anticipazione di quello che nella Grecia Arcaica verrà poi identificato con il tema dell’ereditarietà della colpa.
Una volta appurato ciò, questo antenato dei nostri dottori avrebbe prescritto la cura considerata più adeguata al caso posto in essere.
La Medicina mesopotamica – Tra sacro e profano
In questo contesto risulta interessante ricordare come nel Codice di Hammurabi sia presente la prima vera discussione relativa all’imputabilità dei medici che praticano la chirurgia. Al suo interno, infatti, il chirurgo veniva di fatto imputato come responsabile per gli errori e gli insuccessi di una data operazione.
La Legge di Hammurabi prevedeva che – in caso di trasgressione – vi fosse da subire una punizione. L’ entità di quest’ultima era direttamente proporzionale al compenso ricevuto dal medico per il successo delle operazioni. A loro volta, successo e pena dipendevano direttamente dallo status del paziente.
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